martedì 9 febbraio 2016

ZORAN, IL MIO NIPOTE SCEMO (2013) di Matteo Oleotto


" Alfio io lo so come la pensi...però secondo me la religione non serve a niente:
se sei mona* e credi in dio, crederai nel dio dei mona."


Si:  ho inserito la 'frase del film' in capo e non in coda.

Perchè:  non c'entra quasi nulla con film e storia, personaggi ed ambientazioni, per come e per cui, ma è la maniera migliore d'introdurlo e farvelo annusare.

Di nuovo si : parlasi di cinema italiano recente e con entusiasmo. Con la medesima ingravidatura di paciosa soddisfazione ch'ebbi l'ultima volta per una pellicola uscita quasi in contemporanea (con caratteristiche per altro similari in genesi e struttura artistica alla presentatavi qui di seguito) e che per altro doveva anticipare di un paio di giorni l'uscita di questa recensione commentativa e poi invece son passati tre anni. Quindi tenete buono tutto il discorso ed il film di cui prima e abbiate la compiacenza di ammettere che, un migliaio di albe scialbe circa addietro, precognizzai allegramente l'attuale scenario pellicolo italico che vede l'ultimo meraviglioso Caligari (-daun'ideadiValerioMastrandrea) apripisteggiare situazioni del genere "Lo chiamavano Jeeg Robot" e"Sempre meglio che Lavorare" dopo "Suburra" e tutte quelle altre simpatiche iniziative di genere che sappiam fare bene solo qui. Diciamoglielo. Di nuovo. Di brutto.



Assolutamente:  si parla della mia generazione in pacca ed in piena ed in tutti i sensi fruibili da queste espressioni gergali. Sociologicamente quanto registicamente, criticamente quanto disperatamente. Nello specifico, eccovene un esemplare barbuto antehipster lìlì per i "nuovi'30", esordiente sul lungometraggio e la scrittura filmonica: Matteo Oleotto.

Il look-DDog e l'apparenza de mì nonno NON sono un caso.
Stò goriziano, enfiato dei prodotti tipici della sua terra e palestrato a corti d'autore pesante, se ne esce con una maledettissima, scontatissima, classicissima, ghignosissima opera autobiografica negli sfondi e di formazione negli intenti. Rispettando gli schemi della messa in scena road for growning, dove il centro è la trasformazione a nuova vita di un dissociato-a-caso durante un viaggio iniziatico-a-caso, e montando il tutto sulle spallone di Beppone Battiston. 
La robetta ghignossima possiede una sinossi:
siamo nel FAR EAST Italiano, il Friuli irredento ed infuso tutt'uno nella Yugo (l'attuale Slovenia ma lì ancora non glielo hanno detto bene) patria di teste di cazzo vere & sante e di vini monumentali. Paolo (Giuseppe Battiston nel suo esordio come protagonista) è un Sacco di Merda.
No: davvero.
Inutile girare sulle connotazioni magari bwkouskiane, il cinismo alcoholico, le balle, le stagioni agl'inferi, la x generation now young adult....
No e punto: Paolo Bressan è un sacco di merda sui 120 kg ed in giro di lì e non fa altro nella vita.
Pensatene una, di connotazione da collinetta di sterco, secondo la Vs personale e regionale gamma circospettivo/caricaturale, e Paolo ce l'ha.
Il protagonista è quello che tutta mà generescion è nel fondo di sè stessa e non ha avuto nemmeno le palle di riuscire ad esprimere perfettamente, nascondendosi dietro le delusioni epiche, umane, economiche e giuslavoristiche, che da sola, e per prima tra le serie umane decennali partorite qui, ha dovuto ingurgitare dal dopoguerra ad oggi, non riuscendo a disagiarsi fino in fondo e prendere contatto con la propria malattia viziosa. Primo passo, come si sa, per riconoscere il problema.

Per la serie: dieci anni IN-PIU' di quello sopra e sembra il figlio avuto da djiovine
Come il Friuli, che è troppo ricco per terronarsi alla Veneta ma troppo degradato per darsi all'Altoatesinità, troppo ciucco per contare qualcosa ma ancora abbastanza sobrio da non  riuscire a balcanizzarsi a dovere, così lo scaglione di scoglioni esordienti in questa dimensione tra il Settanta e l'Ottanta, di cui faccio parte con l'autor e regista, è ancora troppo incapace di capire cosa essere per lasciarsi andare a perdere davvero, come invece era strutturale e storicamente inoppugnabile che fosse.
Intorno a quest'epico ganglio [/ˈɡaŋɡljo/] gravitazionale per massa d'involontaria tenerezza simpatica orbitano gli altri personaggi e la storia. Quale volete per prima?
Facciamo la serie di personaggi?
Dai va bene: tanto s'era di sinossi, nno?

Allora: a Paolone, nel mezzo del caMin ( una "m". Perchè di mettere i piedini uno davanti all'altro mi sa di no, piuttosto tetro cunicolo angusto freddo e sporco. Si.) del suo tran-tran quotidiano, fatto di garganellate di ribolla o refosco (rigorosamente chilometri zero, oscenamente tagliato e schifosamente economico) nelle più folkloristiche bettolacce del contado, malinconia sfigo-maniacale per la sua ex moglie ipercialtrona, dribbling ai posti di blocco con etilometro ed un impiego increscioso in spiritu quanto emblematico in substanzia , arrivano un pomeriggio una serie di notizie tutte insieme. Ha una zia. Ha una zia yugoslava, ha una zia yugoslava morta. Lui è l'unico erede.
Grazie a Flaki il Coniglietto Inesistente, con la sua capitale inferenza nel sistema freudiano di analisi comportamentale, e soprattutto all' ispirazione infusa agli alcolizzati non ancora capaci d'esser alcolisti da San Pancrazio Martire, Paolo prenderà coscienza gradualmente dell'entità e del valore dell'eredità capitatagli.
Ah già che invece si doveva parlare di attori.
Tanto la storia sinottica è bell'e che finita, manco fosse un quartino dalla beva birichina, e allora parliam del cast.
Che poi l'avevo detto poco fa con i primi tre -issima e non fate quelle facce....
Lasciato ovviamente per ultimo il protagonistone più grosso di se stesso in talento, ci sono Roberto Citran, il cocco di Mazzacurati nonchè italico emblema ne "Il Mandolino del Capitano Corelli" e "Hotel Rwanda"- una carriera estera che Favino nascondite -, nella parte di Alfio, il datore di lavoro e attuale marito della ex sòra Bressan.


C'è Teco Celio che purtroppo non dice nulla ai più, avendo invisibilmente interpretato pellicolone dense ed internazionali e Nostre, nei panni dell'oste Gustino, nonchè garagista, nonchè albergatore notturno per i clienti affezionati, oltre che unico intimo amico di Paolo.


 E quindi abbiamo il bellissimo (tecnicamente) Riccardo Maranzana, altro mai visto e più poi ammirato, ma con un apparato professionale perfetto per il personaggio pirandelliano dell'Ernesto: Un Mona.


Poi si passa il confine territoriale praticamente solo immaginario (la produzione è Italo-Slovena che da noi il talento finanziarlo GUAI! E a proposito di talento, il Capo della Fotografia è uno che ha studiato. Bene, con profitto e le cose giuste, persino)  per r-aggiungere Marjuta Slamic col fardello a pacco del personaggio, misoginamente buttato lì a rappresentare quanto di peggio ci sia nell'intelletto esistenziale muliebre, della moglie dei due mattatori in scena. Ed infin ma soprattutto Rok Presnikar, ossia ZORAN Zagor; il nipote-lascito a sorpresa  che scemo NON E' ma in compenso è pettinato come un packistano bullizzato dal nido, ha imparato l'italiano su due tomi ottocenteschi da educanda gemebonda che nemmeno io ho avuto voglia di scoprire se esistessero nel vero, è alto, magro, nasuto, timido, con quoziente intellettivo e memoria da autistico e geneticamente organizzato ad essere un cecchino a freccette. ED ANCHE SE TUTTE QUESTE PARTICOLARI PARTICOLARITA' AVREBBERO DIVERSE COINCIDENZE INCIDENTI PER FARMELO TIFARE GIA' COSI' COM'E' NON è per questo che vi sto parlando del film.


Il motivo, come ormai tradizione avita qui dentro, per segnalarvi, annunciarvi, caldeggiarvi, infilarvi, obbligarvi, introdurvi questa visione è, gggiallosapete, la Scrittura.
Soggetto e Sceneggiatura risultano essere di ben altre sei mani, oltre quelle viticultrici da generazioni del regista, completamente in-censite ed artisticamente inesistenti, il che mi limita la possibilità di fare i complimenti ad uno di preciso ed anche di poter avere in camera il poster della mente fonte sia della citazione iniziale ed in clip che del resto dei dialoghi. Poi chissene, neh-
Sta di fatto che il risultato fresco, genuino, intelligente, demenziale, amaro, umano, idiota, simpatico, elegante in cattiveria e becero di gentilezze, di questa pensata di valore a 4teste vien portato in giro interamente dall'oriundo Giuseppe Battiston, per dichiarazione onesta dell'Autore l'Unico considerato ed immaginato per questo film.
Beppone è un Grosso del mestiere in tutti gli ampi sensi, ma questo lo dovrebbe sapere chiunque abbia visto Cosa Italiana di livello accettabile negli ultimi 15 anni, ed è grazie a lui che un personaggio orribile viene intessuto di una quantità di sfumature tali da renderlo indimenticabile, prima fra tutte lo storpiare il nome del nipote in quello di un fumetto bonelliano di "nicchia", cosa che da sola apre un universo intero di approfondimento del protagonista.
I suoi sguardi e le connotazioni anche appena accennate sono un ritorno alle origini dell'interpretazione attoriale che calzano, guardare a caso, con l'intento dell'ideatore che puntava ad andar a risciaquare panni creativi in Isonzo, per recuperare quella lucidità di visione orbata da decenni in Urbe.
A compimento del risultato degnissimo, la colonna sonora curata dai Sacri Cuori che, al pulito del nome pirlissimo, sono una band di fanatici psichedelich-blues che si rifanno alle colonne sonore italiane '60 /'70. Come si poteva ignorare il campo di gioco preferito dell'amico Gianmarco?
Le musiche, varie ed originali, sottili ed essenziali quanto meltinpoppate quasi à là Bregovich, dipingono anche meglio dell'eccellente fotografia le atmosfere e la psicologia delle location, donandoci in particolare una perla corale di alpinica (non alpinistica) tradizione & filone: un'ode al vino selvaggia e ridanciana.


Tutto qui. Niente di più. Esattamente in sfregio a quel che dicevo a proposito dei film per il cinema qualche giorno fa, anzi, fb : un comparto artigiani buonissimo, attori pochi e buoni, un buono dai mille lavori [/telefonista in un call-center, bagnino, in una ditta di traslochi, in un autolavaggio, come operaio in una ditta di microcomponenti, assistente notturno di un ospedale psichiatrico, cameriere, aiuto cuoco, giardiniere, arbitro di basket, portiere d'albergo, istruttore di nuoto/] che scrive d'un cattivo bruttissimo e se lo gira con amore e mestiere possono far dimenticare che si è guardato per tutto il tempo un'americanata già frollata dai tempi di RainMan.
Di mio ho riso come e di più mi era capitato, solo e mai più, qualche giorno prima con Paolo Zucca ed esattamente come con quest'altro son qui al varco ad aspettare l'opera seconda, grazie ad entrambi quando vi degnate.
Se avete ancora un briciolo di comprendonio onesto e di visione scevra da inscatolamenti bassominimi, vi innamorerete di questa storia-minima così grossa da meritare un prequel d'approfondimento in teatro e sarete sempre più saldi nella rinnovata fiducia per le produzioni del tricolore con la tinta sfigata.




*Móna [Agg./S.F. - Dialett. Ven. Or.Celt.] : Letteralmente indica l’organo genitale femminile e la sua origine pare doversi ricercare addirittura nella lingua dei celti che un tempo abitavano la regione (dove mònes indicava la scimmia) o nel greco mounì, espressione volgare per indicare proprio i genitali della donna; ma la parola in Veneto non è più tanto usata, oramai, nella sua accezione originaria, quanto come aggettivo nel significato di scemo, stupido, fesso (e la cosa strana è che in italiano, per esprimere lo stesso concetto, ci si riferisce ai genitali maschili, non a quelli femminili). Così, se per parlare di una bella ragazza è entrato nell’uso il volgare italiano figa, mona si usa ormai prevalentemente coi ragazzi, sia in senso spregiativo (per dare del cretino), sia in senso affettuoso (ti xe un mona suona come l’italiano sei uno sciocco, e lo si può di conseguenza dire anche al proprio migliore amico); ma ancora più curiose sono le molte espressioni e frasi fatte che usano questo termine: mandar tuto in mona è traducibile con un mandare tutto in vacca; va in mona equivale al nostro va’ a quel paese (o qualcosa di più volgare); ‘na monada è un’espressione che, al contrario dell’italiano ficata, significa scemenza, cosa di poco conto, stupidaggine; ‘ndar in mona, infine, si usa per quelle cose o quelle persone che si sono rincitrullite o danneggiate.

2 commenti:

  1. Bè, diciamocelo, all'oggi Zagor è sconosciuto ai più, e soprattutto per la mia generazione era "roba dei padri" anche più di Tex.
    Se poi vogliamo essere precisi, la WhoGeneration cui fa riferimento la canzone/gingle è quela precedente alla mia....Il problema è che ogni volta che si affaccia alla mia mente la locuzione "mia generazione" parte quella canzone in automatico. Non potevo certo mettere qualcosa delle SpiceGirl!!! XD

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Commentate, Gente, le visioni avute !!!...
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