mercoledì 17 giugno 2015

CONDORMAN (1981) di Charles Jarrott





Sbarri la miopia atterrita di stille di futuro all’incerta tenebra delle abituali tre/quasi quattro, strattonato dalla cassa toracica che s’infrange sulla tachicardia del presente allucinato di disperazione ricacciata nei vasi sanguigni placcati d’angoscia, rinsecchiti, fuggiaschi, stremati di continuità alla vita. Quella becera ed ignorante del trascinarsi attraverso marcite malmostose di procrastini schifosi, vigliaccherie finanziarie, moralità addotta del necessario e bulimia alla voglia di fallire. Picconi l‘ardesia dell’inevitabile scheggiandoti le mani brancolanti una salvazione che non puoi nemmeno sussurrare, lacrimare o sudare; che devi rimanere qui, nel banchetto purulento delle perdite definitive, isteriche di fame dei tuoi visceri, golose di quel brandello di Essere abbandonato e povero di aria che ti rimane. E magari potesse risolvere l’unica cosa di cui t’abbeveri: il respiro tranquillo di ciò che hai creato per egoismo, da annusare in una stanza o abbracciare disperato d’amore non dato, biascicando semi di una vita non tua. 
Chiedendo e chiedendoti perdono di colpe che hai voluto per sentirti terreno, dilani urli muti di carne interna.
Nell’insensato fulgore di tutto il non fatto, che un crogiuolo metallurgico cola dentro le tue ossa più sottili scolpendo spine granulose in raffreddamento diaccio e crudele, balena un “Ma com’era?”.
Com’era prima? Ancora addietro alle gioie ed ai trionfi spensierati e furenti di quando crescevi?
Com’era, a quel tempo di canti lisergici ed inutili, sonnambuli in mezzo alle fate inconsce dell’infanzia.....?