sabato 20 agosto 2011

DERSU UZALA -il piccolo uomo delle grandi pianure- (1975)di Akira Kurosawa


 Per settimane  abbiamo creduto che il "Nuovo centro di Rieducazione per la 
Mente Riottosa" ospitasse solo noi sei rivoluzionari colpevoli delle sommosse 
dell'Oscura Clinica. con orrore abbiamo scoperto un nuovo ospite. Orrendamente dimagrito,
rinchiuso in un cantuccio dove gira un proiettore senza soluzione di continuo,
ecco che si palesa il Doctor Grampasso. Luminare dato per scomparso da almeno
dieci anni,fautore delle teorie "Psicocinematografiche" che predicono ormai da decenni la caduta dell'Impero dell'Oscuro Primario, l'inesattezza e l'inopportunità del suo perverso 
metodo scientifico. I suoi occhi allucinati raccontano anni di privazioni e 
tentativi di riprogrammazione andati a vuoto. Nei suoi occhi brilla ancor scintilla
di riottosità, inizia un lungo e corroborante discorso sul film che ha appena 
finito di vedere, ci racconta la sua esperienza nelle grinfie dell'Oscuro Primario,
attraverso un capolavoro di Kurosawa, il più oscuro e melanconico...
...ecco le sue esatte parole:

 "La situazione al "Nuovo centro di Rieducazione della Mente Riottosa" è disperata.
L’isolamento e pressioni dell’Oscuro Primario mi stanno portando  alla disperazione oltre la quale c’è solo l’annichilimento fisico e mentale. LA MORTE.
Pensieri suicidi sfiorano più d’uno degli internati,
ad intervalli regolari che paiono artificiosi anch’essi… Ma che sia questa la strada per la liberazione? Le dimensioni dell’essere, in mezzo agli spazi assoluti e siderali dell’assenza di umanità, possono forse essere valicate? Reinventate? Reincarnate?
Si può risorgere dalle proprie ceneri dopo quelli che sono eoni di buio e distanza dal proprio Io?
Assediato da queste mute domande più che dal silenzio circostante,e forse lisergicamente snudato proprio da esso,contemplando il crudo orizzonte,gli ultimi disperati allo stremo si rivolgono nuovamente al Maestro Lontano,colui che per primo affrontò e vinse il Leviatano della Grande Porta,che ebbe il coraggio di guardare l’abisso,e tornò carico di poesia.
Se l’uomo è solo,deve trovare compagnia,vforza e guida in “OMINI” più grandi e diffusi.
Più antichi e saggi,intessuti e compartecipati dell’Universo stesso.
 Allora,come attingendo all’ultima polla d’acqua sulla via che porta al Gobi, a ciò che resta di voi ,Oh Cineasti Rivoluzionari!!! offro in sacrificio dal macilento proiettore del campo, una bobina rossastra e poco avezza ad essere maneggiata: Dersu Uzala (il piccolo uomo delle grandi pianure) di Akira Kurosawa.



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 Altri grandi della settima arte si sono arresi,Antonioni, su tutti, mentre alcuni hanno dimostrato di potersi reinventare artisticamente dopo la mezza età produttiva con successo (Coppola,De Oliveira,Bunuel,Wenders), ma solo Kurosawa ha saputo farlo in maniera così trasmutativa,in una sorta di Shamsara geopolitico ed esistenzialmente alchemico. Lo ha fatto dopo un baratro durato 10 anni ,il tradimento di pubblico,attori feticcio e case produttrici (rispettivamente con “Dodes’ka-den”, Toshiro Mifune holliwoodianizzato e “Tora!Tora!Tora!”),ma soprattutto nel tentativo di suicidio mediante il taglio dei polsi,ultimo omaggio al fratello maggiore che tanto l’aveva ispirato,morto nello stesso modo nel 1930.
Compiendo il grande cerchio della vita,così ben interpretato e conosciuto da Kubrik (“2001 a S.O.”), il vecchio Akira si rivolse allora ai ricordi più puri ed ispirativi di gioventù, cui tanto aveva attinto per le sue epopee di bushido e arti marziali, riscoprendo nella disperazione i grandi spazi soffusi di luce della letteratura russa adorata durante l’infanzia, e in particolare nei libri di viaggio di Vladimir Arsen’ev, uno degli Eroi sconosciuti delle mappature dell’immenso territorio russo così poco celebrati e di cui è stato reso omaggio saltuario solo in “Kim” di Kipling e ne “il Grande Gioco”di Hopkirk .
Il regista sublima la sua voglia di immensità assoluta e di silenzio eterno in un film quasi documentaristico,scarno,orbato dei dialoghi feroci e possenti che tanto avevano caratterizzato
la sua cinematografia precedente,giungendo ad un astrattismo fotografico colto nel pieno centro della Taiga Siberiana dove l’inedita produzione nippo/russa si trasferì completamente per 2 anni,dal 1973 al ’75: un inferno logistico e umano che anticipò quello di Coppola per Apocalipse Now,e che Kurosawa andò appositamente a ricercare come cammino espiativo di rinascita, ricevendone danni fisici permanenti.





Ma nella tenera ed onirica narrazione dell’amicizia tra il Capitano Arseniev (Yuri Solomin)
e il cacciatore di zibellini di etnia Hezhen (o Gould,nella traduzione italiana),un antichissimo
popolo altaico di cacciatori raccoglitori nomadi nella tundra e nella taiga,
chiamato Dersu Uzala (Maxim Munzuk), nulla di tutto quello che vi ho introdotto traspare minimamente.








Basato su di un lungo flash-back scandito dal tocco di campana del nome del Piccolo Uomo,
il film è diviso in tre episodi cronologicamente collocati tra il 1902  e il 1910,quando il Grande Impero Russo cercava di comprendere più a fondo l’estensione e la ricchezza di un territorio ancora quasi completamente inesplorato e non cartografato,inviando drappelli di militari in ogni angolo dei propri possedimenti.






Nella Siberia Nord-Orientale, gli Ussuri a lungo contesi tra URSS e R.P.C.,
il drappello di militi spartani è solo una briciola nello sconfinato bosco paludoso,selvaggio, primitivo dove sono il freddo e il vento a dominare incontrastati da millenni; il lavoro quotidiano,fatto di lunghi e difficili spostamenti con bestie da soma e rilievi pedantemente annotati,viene interrotto dall’incontro quasi sciamanico con Dersu, attirato come una falena dal fuoco del campo. Curiosità e sufficienza caratterizzano l’atteggiamento iniziale dei soldati,nel conoscere poco a poco questo buffo omino avanti negli Inverni che ha accettato di farli da guida,attrezzato poveramente e primitivamente,ma esperto ed efficace in questo Universo Alternativo lussureggiante e tetro.
Come in ogni favola Ecologista che si rispetti, di cui però questa pellicola è antesignana, saranno l’esperienza e la profonda spiritualità animista del cacciatore a conquistare lentamente cuore ed anima dei Russi, e se questo appare quasi immediato e folgorante nel Capitano Adreiev,il regista ci mette magistralmente del suo per dipanare la matassa di sguardi e percezioni tratteggiate in punta d’acquarello della metamorfosi nei soldati di rango inferiore.

Nelle tre stagioni di esplorazione che si succedono,i due protagonisti si rincontreranno come per caso, rinsaldando ogni volta il loro rapporto di affetto e stima, attraverso episodi chiave che ci trasporteranno insieme a loro nell’AltroQuando degli OMINI,le forze Elementali della taiga,mentre il lungo e lento film scorre come ghiaccio che si scioglie muto,silente e poderosamente ineluttabile. Un’ampia gamma di esperienze emotive e di contrasti viene affrontata dagli attori e dalla fotografia: ignoranza, inutilità, percezione Traslata,umiltà,fierezza,paura,angoscia,smarrimento,terrore puro,affetto filiale,umorismo dell’infinitesimo e spiritualità dell’immenso,fino alla cecità dell’amore egoistico e dello hibrys civilizzato.
Non manca un’aspra critica alla modernizzazione agli albori,memore dell’affermazione fatta dall’onorato collega Bunuel, profetica e lapidaria : ”La vera rivoluzione da fare è quella Ecologica”.




Piccole gemme narrative impreziosiscono gli episodi del film, sia stilisticamente che tecnicamente,e ci sarebbe da citarne parecchi,ma non si vuole rovinarvi il viaggio sciamanico che vi si consiglia in questi tempi di buia crisi dell’inconscio collettivo e sociale ,sebbene mi sia impossibile non annunciarvi l’homaje al Poema della Tigre di Blake, scena cardine ed essenza stessa del capolinea per la rinascita cui il regista anelava.
In una sorta di sdoppiamento di personalità tra Vecchio e Nuovo,Kurosawa usò entrambi
gli interpreti principali per rivolgersi a sé stesso,decretando i propri successi,
le proprie illusioni,analizzando il proprio operato nelle varie tecniche ed inquadrature usate.
E ne uscì rinato.


Akira San



Accolto ovunque come un capolavoro, premiato con l’Oscar in primis e con prestigiosi riconoscimenti internazionali dopo,Dersu Uzala fu per l’anziano Akira la Porta della Percezione che si dischiuse sulla vena più pura del suo talento,portandolo in rapida sequenza a cesellare due capisaldi della sua opera come   Kagemusha - L'ombra del guerriero) (1980)  e Ran…non so se mi spiego…"

Musiche: Ivan Shvarts
Durata: 129 min
 Eccovi il trailer del film. e subito dopo l'Inizio del film.






Frase del film :


"Tu grande cacciatore?Tu non sbaglia mai colpo?Se tutti gli animali spara,noi poi mangiare niente!".
 Dersu' al sergente che lo prende in giro per aver mancato un cervo.






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Grampasso termina il suo discorso con un sorriso carico d'aspettative.
"Portatemi via di qui!!!" urla strattonando il Doctor Milvius, guardando spiritato e sudato il Doctor Bower; poi puntando il suo dito sul mio viso, dice:
" Nulla è per caso, siete qui per questo! Io e voi insieme, possiamo finalmente evadere, e ricreare le basi di una nuova Cinematografia Patologica!! Lo dobbiamo a questo mondo allo sfascio, lo dobbiamo all'umanità intera! L'oscuro Primario cadrà!!".
Come una scintilla su di una miccia, il Dottor Grampasso, da fuoco alle nostre rivoluzionarie sinapsi. Carico il povero scheletro del luminare sulle spalle.
"Adesso!!! Fuggiamo da questo luogo d'inferno!" Ordino ai miei cinque amici, colleghi e fratelli.
La fuga ha inizio....

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