martedì 23 aprile 2013

GABRIELA (1983) di Bruno Barreto



E siccome in ogni trilogia che dir si voglia per bene mai viene a mancare l'episodio più strizzalocchio all'audience di grosso numero e grana, ove l'impianto passa in terzo piano in luogo ai nomi chiamati a comporre i vari settori della locandina, esile pretesto per fare bella mostra di talenti ed esercizi di stile, si alzi il sipario sul secondo film di questa serie, che segue il giusto ordine di pubblicazione editoriale dei libri dello Steinbeck latinoamericano ma l'inverso per uscite e manifatture cinematografiche.
Non ci si fa mancare nulla: attore di grido e di solida preparazione alla parte non foss'altro per i precedenti lavorativi, protagonista femminile rodatissima nel ruolo, spigliata e spogliata, sogno umidiccio di tre continenti rasponi, regista assodato ed uso a luoghi, sfondi, temi e soggetti, colonna sonora composta in omaggio da artisti di fama mondiale (in Brasile), fotografia saldamente in mano ad un bestione-one di categoria.
Molte sono le accomunanze tra Jorge Amado e John  Steinbeck, grossomodo coevi, dalla produzione severamente scissa tra impegno di denuncia sociale  ed epopea fiabesca e scanzonata dell'Umile più a terra, non ultima la somiglianza nell'infausto tenore rispetto allo scritto delle trasposizioni filmiche delle loro opere, anche quando intenzioni ed attrezzature furono di prim'ordine. Nemmeno l'amicizia con un Presidente degli Stati Uniti di peso come F.D. Roosvelt, le collaborazioni con Elia Kazan e Lewis Milestone, interpreti quali James Dean, Marlon Brando e Spencer Tracy hanno salvato il Gringo premio nobel per la letteratura dall'ingiustizia scenica di cotanta incresciosa capacità di prosa, infatti.
Qui, a differenza di quanto già detto per il Bahiano, nemmeno si può parlare di film dedicati esclusivamente all'apprezzamento dei suoi adoranti lettori. Anzi, l'opposto.
Sono spesso però le pellicole meno abbarbicate all'opera originaria, che consentono una fruizione più a là paje, meno svaccatamente riservate ad un pubblico di soli letterati come quella con cui ho esordito la volta scorsa, grazie a caratteristiche che compongono indistinguibilmente pregi e difetti del film.
Gabriela, garofano e cannella fu il primo passo di Amado in un universo scevro dalla polvere impastata di lacrime e sudore delle piantagioni di cacao dell'interno, verso le rive dell'Atlantico, i suoi porti nascenti dell'inizio novecento, pieni di colori, aria e luce.Nella trama e nei singoli personaggi troviamo gli embrioni di quasi tutte le caratterizzazioni delle opere successive, frutto del meticoloso studio formale da intellettuale di sinistra dell'etnologia meticcia del suo paese, composta da ricchi latifondisti, commercianti di frontiera e tutto il poverissimo resto della popolazione.
Ambientata nel '920 e intorno a Ilheus, scalo commerciale per l'Oro Bruno, il cacao, dono e dannazione di una terra selvatica e avara di altro, la storia è incentrata su di una giovinetta approdata dall' interno arido senza una speranza fino alla darsena degli schiavi, dove ogni diseredato pezzente si riversa per offrirsi in un libero mercato di schiavi, sguattere, soldataglia.Qui la trova Nacib Saad (Mastroianni) turco/siriano/si-insomma-quella-zona-del-mondo-lì, ma di madre partenope, proprietario del Bar Vesuvio, centro ricreativo e associativo del paese.E' alla ricerca di una cuoca, di cui è rimasto sprovvisto, e non ha  la minima idea nè di come fare a selezionarne una, nè di cosa gli stia per capitare. Nota la gentilezza verso una nonnina affranta di un'arruffata ragazza coperta di tutta la polvere dei chilometri macinati, le crede sulla parola riguardo alle doti culinarie, e senza pensare a nient'altro se la porta a casa.




Seguendo i loro passi cominciamo ad apprendere la realtà da tutto il mondo è paese (soprattutto se piccolo, sanguigno e dorato dal sole) di questo avamposto diciamo civilizzato conficcato tra il deserto di terra alle spalle e quello d'acqua di fronte. E quale mai potrà essere? Corna, delitti d'onore, ricchissimi possidenti che dettano legge sia sulla carta che sulla strada (i Colonnelli), amorazzi, logiche distorte di partitelli locali votati al progresso, mazzette, sparamenti; come ovunque nell'occaso terricolo, dalle Alpi alle Piramidi, dal Gange al Rio Branco.
Scapolone benultraquarantenne, dedito da un alba all'altra al suo locale dove si incrocia tutta la Gente Che Conta di Ilheus, benvoluto da tutti, il Turco scopre il tesoro raccattato per strada solo a notte inoltrata, quando si ritrova dentro casa un umile, devoto, dolcissimo, bronzeo frutto della boscaglia e degli Dei del Cadomblè, che profuma di chiodo di garofano e non anela altro che soddifare chi l'ha salvata dalla morte per fame o la prostituzione più bassa.


E le intenzioni del buon turco sembrano improntate alla massima onestà e purezza, nonostante tutto questo ben di dei, almeno finchè la sua stessa volontà non è completamente irretita dall' erotismo selvaggio ed invasivo della nuova cuoca, per altro dotatissima anche ai fornelli.
Il dipanarsi da quell'estatico atto fisico è quello più classico della My Fair Lady o Cinderella o Pretty Woman che dir si sappia, con il differenziale che qui siamo in terra tropicale, e la novella Donna Onesta , elevata ad una vita serena e benestante, darà in smanie di insoddisfatta ingratitudine abbastanza subito, ma quasi di malavoglia, combattuta tra la tenera e fortissima venerazione per il suo Padrone (che tale chiamerà anche dopo sposati) e la sua ferina natura infantile e sensuale al contempo,che la porta a danzare quando cammina, a cantare quando parla, ad intessere sortilegi quando cucina. Gabriela porterà lo scompiglio, a Ilheus e al suo rappresentante più emblematico, Nacib, riuscendo ad attraversarne ogni malizia senza perdere la propria purezza, archetipo e simulacro votivo di Femmina dai ricci fitti e dal sudore profumato.


Cento minuti, dura questa trama ammassata di nudi ed amplessi focosi.
Barreto è sicuro e saldo nel mezzo. Dove non vi sono dialoghi sa colmare la narrazione di riprese e scarrellare in giro per le ambientazioni a lui care: la casupole colorate della costa salvadoregna, le stradine polverose, gli interni lindi e disadorni, banani, uccelli, canneti, il quotidiano ed il notturno.
 Ad interpretare la protagonista, non vuole esimersi da chiamare l'icona Amadiana incontrastata, già da lui diretta con successone nel '79 sulla storia che di questa è figlia, Dona Flor e i suoi due mariti, ma soprattutto che già ha svestito i panni della Femmina color cannella e odor di spezia essiccata, nella seguitissima telenovela tratta dall'opera qualche anno prima, sulla spinta del film di cui sopra e di cui prossimamente qui sopra. Migliore compendio bio ed iconografico di Sonia Braga non potrei descrivere o riportare più egregiamente del rutilante blog che tanto ci è caro qui dentro, Ellabernarda!! Helaberarda, il cui certosino lavoro di Conservatore dei Beni Cartacei di quell'epoca spensierta non ha eguali. Chi non conoscesse già la famossissima Donna Ragno del Bacio fatale, potrà trovare sotto gli inserti scarlatti tutta la prorompente personalità scenica di quest'attrice, che tanto le meritavano questa parte da Ninfa Pagana, comprese diverse chicche in video, tra cui la sua partecipazione in Sex and the City spaventosamente identica al fiore dei suoi vent'anni, mentre prende a ceffoni estetici quelle quattro carampane fornicatrici spinte di chirughi plastici.
Col portafoglio pingue quanto un mandriano dopo il mercato, e per continuare ad andare sul sicuro, il regista chiama alle incombenze dello spaesato, affettuoso ed impreparato oste, non Omar Sharif, che ben ci poteva stare, ma un più dimesso e calzante Marcello Mastroianni.


Talmente nella parte così com'è, e come è stato sullo schermo già per un paio di decenni, foderato di una cifra veramente lusinghiera (cinque zeri in dollari americani del tempo, si disse), il nostro Tombeur di fama interplanetaria porta il suo sguardo trasognato ed innocente dall'altra parte dell'oceano pronto ad intrecciare i fianchi tra le cosce della panterona ed esserne ispirato. Per poi trovarla dal vivo di una rara cozzaggine (ipse dixit), almeno paragonato alla pila alta sei Apuane di divina gnoccanza pesante & vera che si è ripassato sul set e fuori per una vita.Crediamogli. Soprattutto visto il risultato in scena, dove in barba a tutti i preamboli stilistici e con l'interpretazione cucita addosso, si aggira fine a se stesso di inquadratura in inquadratura senza un vago scintillio di presenza.Per quanto nel tutto faccia la Sua Signora Figura.
Comprimari meticciati dalla produzione italo brasiliana, Antonio Cantafora (il fedifrago Tonico Bastos, avvocato e amico del Turco), Riccardo Petraglia (Josué) e Paulo Coulart (João Fulgêncio) tra gli altri, formano uno sfondo cittadino vario e spiritoso, ma alquanto convenzionale, veramente un po' troppo caricaturale  perciò non divertente,  involontariamente patetico, del tutto al di fuori delle precise, ironiche, graffianti modellature offerteci dallo scrittore nel romanzo, che tanto aiutavano l'esile trama novelistica ad espandersi fiorente nell'immaginario dei lettori.
Ma luci e suoni, ah...quelli son di prim'ordine.
Sempre grazie a quel portamonete fornito di cui si diceva, Barreto fa shopping in Italia con dovizia, portandosi accanto a curare la fotografia Carlo Di Palma. Costui ha lavorato fino a quel momento con qualche cineasta del nostro paese, allora piazzato saldamente sulla vetta più svettante della Settima Arte.Facciamo un paio di cognomi, giusto per dare l'idea: Visconti, Castellani, Rossellini (Roma città aperta), Grieco, Pontecorvo, Petri, Germi, Antonioni (Deserto rosso, Blow up e i Tre volti), Monicelli (L'Armata Brancaleone e parecchi altri in seguito),Salce, Pasquale Festa Campanile, Scola, Alberto Sordi quella volta che si mise alla macchina da presa, Dino Risi e Bertolucci.
Si potrebbe considerarlo ferrato nel suo lavoro, diciamo. Capacino.
La resa delle atmosfere è tale, infatti, da folgorare oltre al pubblico anche Woody Allen, che da quel momento lo rapisce per farci qualcosa come undici film insieme a ripetizione. Chiaroscuri violenti, scoppi di risate cromatiche, languori crepuscolari satolli di eros e cibo, limpide giornate sature di tropici, interni appannati di sudore ed epidermidi di ogni sfumatura allacciate: la pellicola impressionata supplisce alle carenze attoriali e di mai degna sceneggiatura, per quanto ricalcata sul testo guida.




Il pepe che manca sul set viene aggiunto con la collaborazione del grande compositore carioca Antonio Carlos Jobim, arrangiato dal famoso chitarrista Oscar Castro-Neves e data in pasto all'ugola divina Gal Costa, "a voz", la saudade brasiliana in suono.Tre nomi pesantissimi in quelle lande patite di musica che producono, tra gli altri, due brani quali "Tema do amor por Gabriela" e l'omonimo "Gabriela cravo e canela" entrati poi nella Storia (in Brasile).






 Come biasimare Jorge Amado medesimo, il quale alla fine della visione ebbe solo a lodarne gli attori a modino e poco più? In tutto questo spandere di talenti ben scelti non si riesce a trovare un pertugio d'interesse, di carnalità, di presa nei sentimenti.
Onestissimo prodotto in ogni dettaglio della cinematografia dell'epoca, fa effetto che non sia uscito qui da noi censuratissimo e vietato ai minorenni, come accadde solo sei anni prima con la prima sfida di Barreto ai lettori di Amado,con cui concluderò questa triade. O meglio fa effetto il contrario, data la maggior quantità di pecoreccio ivi contenuto senza parafrasi.

Ci si trova allora a poterne apprezzare appieno l'ansamble solo in ignoranza completa del libro, in opposizione a quanto sperticato da me fino ad ora.

Diavolo d'una Gabriela!  


Trailer del film :  UNA SCENA


 Diavolo d'una Gabriela...Manco il trailer!

2 commenti:

  1. Finalmente ha compreso ;O professore caro, che l'odience è mosso dalle muliebri nudità ed ama l'erotismo...i corridoi della cinematografia attendevano da un pò di tempo una nuova pellicola erotica, Grazie

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  2. Pensa la prossima rece che addirittura era VM18...farà sfracelli!

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Commentate, Gente, le visioni avute !!!...
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