venerdì 16 settembre 2011

BANDITI A MILANO (1968) di Carlo Lizzani





Ed eccola, dall'oblò panoramico della rapidissima imbarcazione, spuntare la prima cupola di Nuova Avalon, e con essa, il Palazzo Conduttore, l'edificio più importante della città, sede del computer principale che mantiene l'omeostasi dell'isola Stato. Dopo pochi minuti la vediamo nella sua interezza, ancora distanti varie miglia marine a largo, è una cittadella chiusa da una lente in vetro. "La cupola resta chiusa quando i motori gravitazionali sono in funzione, e sono in funzione per favorire il nostro imbarco".
Afferma sicuro il Prof.Grampasso.
"E' stato bello teorizzarlo, ma vederlo messo in pratica è qualcosa di indescrivibile...".
Nuova valon ci attrae a se come con un magnete, l'aggancio è veloce ma senza alcuno scossone. Destreet e gli altri giovani ci avvisano che potremmo sbarcare fra due ore, poichè occorre attendere il raffreddamento dei motori gravitazionali dell'isola. Giusto il tempo di volare con la mente sulle strade di una Milano post-Boom economico. Sprofondiamo nei nostri divani con Banditi a Milano.


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BANDITI A MILANO del 1968 può essere considerato a buon titolo il primo vero "polizziottesco".
L'antesignano del genere che in Italia spopolerà per tutti i Settanta e oltre, mutuando i divi e protagonisti del cinema Western
in divi e miti Metropolitani. Una pellicola alla cui estetica, fotografia e messaggio di fondo tanti registi, soprattutto italiani ma non solo, si sono dovuti in qualche modo riferire, quando hanno deciso di raccontare storie poliziesco/noir. Ma c'è sicuramente qualcosa di più, e cioè il marchio di fabbrica, documentaristico, verista, adeso alla realtà come in un'inchiesta giornalistica, del grande Carlo Lizzani, come a manifestare la timidezza di inventare di sana pianta una storia, poiché la realtà ha infiniti più spunti, ed è sconfortante ma urgente rifugiarsi in essa.
La pellicola, prendendo spunto e approfondendo un fatto di Cronaca che sconvolse l'Italia del tempo, ci fa fare un excursus sulla criminalità e la violenza del dopo boom economico in Italia, e nella fattispecie nella ricca Milano. Intrecciando sapienti flashback a delle vere proprie interviste col piglio dell'inchiesta sui temi della prostituzione, del taglieggio, della tragica criminalità in genere. Fino a sezionare i particolari a volte banali della vita dei personaggi, i loro frammenti di ultima vita prima dell'ultima, tragica, sanguinosa rapina al banco Di Napoli della Banda Cavallera.
Banda di rapinatori che imperversò a Milano per tutto il 1967,capeggiata dal carismatico, coltissimo ed ipertimico  Pietro Cavallera detto il Piero (un "nonsopiùaggettivizzarelasuagrandezza" GianMaria Volontè), il secondo mite ed efficente Sante Notarnicola (un buon Don Backy cantante e attore, e che attore!!  feticcio di molti registi del cinema di genere), il massiccio Adriano Rovoletto detto Bartolini ( Ezio Sancrotti), ed un praticamente adolescente Raymond (Ray) Loveloc (già visto in "Avere Vent'Anni" e "Milano odia, laPolizia...") nella parte di Donato Lopez detto Tuccio.
Come un cane attaccato all'osso sta alle loro calcagna, il Commissario Basevi (un Tomas Milian giovanissimo con capigliatura da "perfettino") e tutta la polizia di Milano


  La banda è composta  da ex soldati e partigiani provenienti dagli ambienti Leninisti e Anarchici della Torino operaia, nasce con intenti rivoluzionari ed ebbe il suo picco realizzando una tripletta (3 banche rapinate in 40 minuti!!!). 16 rapine riuscite, fino alla drammatica 17esima, che si conclude con una scia di sangue lunga una diecina di chilometri, lunga un inseguimento tra banditi e poliziotti dentro e fuori il centro di Milano. Bollettino di Guerra 3 morti (che poi diverranno 4) e due dozzine di feriti. Ed è a questo punto che Lizzani ci pone la domanda più importante: "Perchè  nei Milanesi solo a questo punto scatta la reazione?". Il tentato linciaggio è l'arma della folla, che viene usata solo quando tutto è troppo irreversibile. Non si posero il problema prima, quando furono omertosi, ed ora esplodono in tutta la loro violenza. Cosa li ha portato fuori dalla dimensione del loro "Orticello", fuori dal farsi gli "affari propri"?




"Uè Balèènghii"

 
Bimbo Ray Laveloc


Carlo Lizzani è stato  prima un importante critico cinematografico e animatore, insieme a signori del calibro di Fellini, ennio Flaiano, della rivista Cinema fin dai tempi del ventennio fascista. Pur essendo un "covo di antifascisti" la rivista aveva tutta la fiducia di Vittorio Mussolini (figlio del Mascellone) ed anche una certa indipendenza di pensiero e critica, una sorta di oasi in un deserto di libertà negate.
Finita la guerra e la barbarie nazifascista, nel periodo della ricostruzione, comincia a sedere dietro la macchina da scrivere sceneggiando in prevalenza  il cinema neorealista di Rossellini, Lattuada etc etc.
Il suo esordio dietro la macchina da presa lo fa con un Documentario, genere da lui molto amato e intelligentemente integrato in tutto il suo cinema, e al quale ha donato innovazione, freschezza e piglio contestatario e rivoluzionario (in controtendenza allo stile propugnato dal vetusto Istituto Luce).
In questo film snocciola una capacità tecnica ed una fotografia che hanno fatto scuola, chi ha visto Romanzo Criminale la serie potrà cogliere tante affinità (scelta delle inquadrature, campi lunghi sulle camminate dei criminali), ma anche gli amanti dell' Exploitaction e del cinema poliziesco in genere potranno trovare i mille riferimenti che questo gioiello della cinematografia Italica ha lasciato, come gemme, nel suo cammino.



GianMaria Volontè nel suo anno di grazia 1968, ormai nel mito dopo aver interpretato i western di Leone, ma sempre più politicamente impegnato, nello stesso anno del magnifico western "Quien sabe?" (in "Banditi a Milano" conserva la folle poesia de El Chuncho), contribuisce alla nascita del poliziesco all'italiana tracciandone poi la meravigliosa sintesi  in "Indagine su un cittadino..." , disilluso e fatalista come in "La Classe operaia va in paradiso". Un GianMaria per tanti versi embrionale ma nel contempo già formato, nei suoi guizzi espressivi, nella forza che riescono a darti quegli occhi da demonio, nella completa aderenza al criminale. Il personaggio del Piero è umanissimo e ambiguo, capace di tutto.
Grandissimo anche Tomas Milian giovane e già in grado di gestire una parte così importante in un film ancora più importante, dimostra grande professionalità non riuscendo a manifestare il suo enorme carisma in una parte difficile. Anche per lui 1968 ricchissimo di grandi personaggi come ad esempio il bellismo peones di  "Vamos a Matar Comapaneros...". Andando proprio a cercare il capello, tre cose  straniscono di lui: 1) il fatto che  stia completamente dalla parte dei buoni, sembra gli levino l'anima quando deve fare il buono!!!, 2) il doppiaggio, che non è quello di Amendola padre, e perde tantissimo.3) il suo personaggio fuma le zizze con il bocchino....orrendologico...
Curioso il cameo della grande Carla Gravina nella ninfomane mitomane che chiama la polizia, da ricovero, eccelsa.



Il Commissario ed il suo Bocchino

Carla Gravina erotomane


E veniamo alle gaudenti note..La colonna sonora è qualcosa di eccelso. L'anno è sempre quello (68).
il maestro Riz Ortolani vi prepara una doccia Rock Lisergica e Ritm'Blues venata di tanto Jazz e dell'insostituibile voce di Nino Ferrer, che nel film canta una versione di "Vorrei la pelle nera!!!" da far diventare tutto il mondo nero (risolvendo cosi almeno uno degli annosi problemi del nostro mondo malato!!!).
Vediamo se si può:



per citare un mio amico Messicano, gran giornalista...."La Ultima y Vamos":

Una folle sperimentazione da origine ad un qualcosa di completamente nuovo e avvincente. un film che presegna i tempi, enfatizza la posizione di potenza che ha un artista nell'indovinare il nostro futuro. Gli occhi di Volontè qualunque cosa egli ti stia proponendo. La risata del Piero ,sopra le urla di tutta la Milano che, ora, lo vuole linciare.



                                                       Trailer Internazionale:




Durata 95 min
Colore colore

                                                                    Frase del film
Giornalista:" Quante rapine avete fatto?"
Cavallera:" Diciassette..diciassette in quattro anni"
Giornalista:"Lo sapete che la vostra imputazione è di Strage?
Cavallera:"Eeeeh ce ne sono tante di styragi nel mondo! Perchè non sparano anche nel vietnam??.eheheh..Comunque nessun gruppo altamente specializzato, inserito in un grande complesso industriale, avrebbe saputo fare meglio di noi...E' la Tecnica, Tecnica!..pianificazione!! Macchine ,  macchine!La guerra, la guerra!!! ..ehehehehè... Volete che vi reciti tutte le rapine che abbiamo fatto?..ce le ho tutte qui scolpite nella testa! Volete che ve le recite eh?"






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La fine del  film ci ricatapulta sulla terra e manca ancora una mezz'ora allo sbarco, il prof.Grampasso è molto emozionato, anche noi lo siamo. Curiosi ed eccitati nell'apprendere cosa si è potuto fare a Nuova Avalon, per il progresso di tutta l'umanità. Tecnologia e poesia fuse in un luogo che non sta mai fermo.
Una Nuova Frontiera della Cinematografia Patologica...per quanto riguarda noi poveri scienziati.
Poco prima di scendere vediamo le cupole aprirsi, un forte segnale acustico avvisa la ripresa delle attività umane.
Siamo ad un passo dal futuro.

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