Sbarri la miopia atterrita di stille di futuro all’incerta
tenebra delle abituali tre/quasi quattro, strattonato dalla cassa toracica che
s’infrange sulla tachicardia del presente allucinato di disperazione ricacciata
nei vasi sanguigni placcati d’angoscia, rinsecchiti, fuggiaschi, stremati di
continuità alla vita. Quella becera ed ignorante del trascinarsi attraverso marcite
malmostose di procrastini schifosi, vigliaccherie finanziarie, moralità addotta
del necessario e bulimia alla voglia di fallire. Picconi l‘ardesia dell’inevitabile
scheggiandoti le mani brancolanti una salvazione che non puoi nemmeno
sussurrare, lacrimare o sudare; che devi rimanere qui, nel banchetto purulento
delle perdite definitive, isteriche di fame dei tuoi visceri, golose di quel
brandello di Essere abbandonato e povero di aria che ti rimane. E magari
potesse risolvere l’unica cosa di cui t’abbeveri: il respiro tranquillo di ciò
che hai creato per egoismo, da annusare in una stanza o abbracciare disperato
d’amore non dato, biascicando semi di una vita non tua.
Chiedendo e chiedendoti
perdono di colpe che hai voluto per sentirti terreno, dilani urli muti di carne
interna.
Nell’insensato fulgore di tutto il non fatto, che un
crogiuolo metallurgico cola dentro le tue ossa più sottili scolpendo spine
granulose in raffreddamento diaccio e crudele, balena un “Ma com’era?”.
Com’era prima? Ancora addietro alle gioie ed ai trionfi spensierati
e furenti di quando crescevi?
Com’era, a quel tempo di canti lisergici ed inutili, sonnambuli
in mezzo alle fate inconsce dell’infanzia.....?